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Come gestire l’ansia da “piattismo plantare”
Il riscontro di piede piatto è molto frequente in età pediatrica, ma nella maggior parte dei casi non va considerato patologico. Capiamo insieme quando preoccuparcene e come intervenire.
Perché parlarne
È utile parlarne perché il piede piatto, nell’ambito dell’ortopedia pediatrica, rappresenta una delle principali preoccupazioni dei genitori, pur essendo nella maggioranza dei casi “fisiologico” e non meritevole di alcun intervento.
L’incidenza del piede piatto varia a seconda degli studi, in base ai criteri diagnostici utilizzati ed all’età considerata (arriva fino al 90% fra i lattanti sotto ai 2 anni mentre si riduce sotto al 4% fra i bambini con oltre 10 anni di vita).
Risulta più frequente nei maschi e nei bambini sovrappeso o obesi.
Come riconoscerlo
Il piede piatto è un abbassamento della volta plantare da lato interno, che può arrivare fino al completo appiattimento e può associarsi al valgismo del retropiede (calcagno).
Lo sviluppo del piede non è completo alla nascita, ma avviene durante i primi anni di vita. Le modifiche sono dovute alle diverse le sollecitazioni che il piede subisce durante lo sviluppo del bambino.
Alla nascita è fisiologico avere un piede piatto anche a causa del tessuto adiposo depositato sulla pianta del piede, in seguito gradualmente si avrà la formazione della volta plantare, visibile di solito intorno ai 6-8 anni, ma matura solo a 10-12 anni.
Il piede piatto è distinto in lasso (o flessibile) o rigido a seconda delle cause che lo determinano.
Il piede piatto lasso può essere dovuto ad anomalie congenite delle ossa del piede, insufficienza muscolare, a patologie neuromuscolari o iperlassità legamentosa. Abitualmente è asintomatico.
Il piede piatto rigido è dovuto a malformazioni ossee. Tipica la sinostosi tarsale in cui le ossa del piede sono fuse fra loro, in questo caso è più frequente il dolore.
Il punto fondamentale in presenza di piede piatto è riconoscere i casi in cui avere una condotta d’attesa e quelli in cui intervenire.
Per farlo si deve considerare l’età del bambino, la riducibilità del piattismo e la presenza di dolore o limitazione funzionale.
È importante indagare la familiarità per patologie muscolo scheletriche o neuromuscolari che potrebbero essere associate al piede piatto (tipo la displasia delle anche, il piede torto, le sinostosi tarsali, la scoliosi, la distrofia muscolare, le collagenopatie, la sindrome di Marfan…)
La visita del bambino deve essere globale e non solo focalizzata sul piede. È indispensabile valutare lo sviluppo neurologico e staturo ponderale del bambino, calcolarne il BMI, osservare l’intero apparato muscolo scheletrico, il grado di lassità legamentosa, la presenza di malformazioni o asimmetrie.
L’esame clinico di piede e caviglie prevede l’osservazione in clino e ortostatismo, la valutazione dei movimenti articolari, del tono e della forza muscolari, la ricerca di movimenti o posizioni che scatenino dolore.
Alcuni semplici test, che consistono nell’osservare l’arco plantare durante il camminamento in punta di piedi (l’arco ricompare nel piede piatto lasso, non in quello rigido), sul bordo esterno e interno del piede e sui talloni, orientano sul tipo di piede piatto che abbiamo di fronte.
Solo nei casi più gravi è necessario richiedere delle indagini radiologiche (rx o TC)
Chi deve essere trattato
Come abbiamo detto il piede piatto nella maggioranza dei casi tende a risolversi da sé senza nessun intervento.
In caso di bambino asintomatico ed in assenza di altri segni patologici, fino ai 8-10 anni si può applicare una condotta d’attesa, istruendo le famiglie ed il bambino a favorire un corretto sviluppo del piede (con esercizi appositi o usando calzature specifiche).
In questo momento diventa utile la consulenza di un osteopata che possa effettuare un intervento preventivo e seguire poi il bambino anche in caso di condizioni più critiche (piede piatto sintomatico o riabilitazione post chirurgica) .
In caso di dolore o impotenza funzionale è richiesto inoltre l’intervento dello specialista ortopedico che può prescrivere l’uso di plantari (utili soprattutto in caso di retrazione del tendine d’Achille, molto dibattuti negli altri casi) e stimare la necessità di intervento chirurgico (necessario in meno del 5% dei casi e non prima dei 10-12 anni di età)
Come può aiutare il trattamento osteopatico
Il trattamento del piattismo plantare in osteopatia si orienta primariamente verso le sue cause; esse possono essere genetiche, posturali, compensatorie, traumatiche o neurologiche.
Capirne la causa è fondamentale per comprendere come impostare il trattamento e come monitorare i risultati.
Solitamente, per un bambino che non presenta una storia pregressa traumatica, la fascia d’età cui è consigliabile rivolgersi per un consulto è tra i 6 e i 12 anni, fase in cui l’arco plantare diventa visibile e completa la sua maturazione.
Anche precedentemente a questa età, però, è importante trattare il bambino nel caso in cui i genitori dovessero notare differenze nella deambulazione. (camminare sulle punte, appoggio plantare differente negli arti, …)
E’ molto frequente, infatti, riscontrare disfunzioni a livello del bacino e degli arti inferiori negli adattamenti alterati nella cinetica del passo. Questi possono essere dati ad esempio dalle asimmetrie derivate da un posizionamento differente tra i due arti inferiori durante la gestazione o da parti complicati.
Se pensiamo a quanto tali articolazioni entrano in gioco per la costruzione dell’equilibrio del bambino, comprendiamo facilmente l’importanza e il beneficio che un trattamento di tali aree può creare all’interno del sistema posturale.
Il trattamento osteopatico quindi, andrà a valutare l’arto inferiore e l’appoggio plantare con tutte le strutture osteo-muscolari in relazione ad esso come la tibia, il perone, il bacino, le anche e la colonna vertebrale.
Come prevenire un appoggio plantare scorretto
Il bambino, nel corso della sua crescita, attraversa varie tappe evolutive che lo porteranno allo sviluppo della stazione eretta.
È importante che ognuna di queste venga rispettata senza essere forzata così da permettergli di sviluppare e prendere confidenza con le sue abilità motorie; ogni bambino ha il proprio carattere e la propria inclinazione a scoprire il mondo e quindi a muoversi in esso.
Tra le tappe di sviluppo più importanti vi sono lo strisciamento ed il gattonamento, che preparano e allenano il bambino alla coordinazione motoria crociata.
Durante queste prime fasi il bambino inizierà ad utilizzare il piede puntandolo e dandosi una spinta (solitamente in avanti) per raggiungere un oggetto o una persona.
Nel momento in cui il piccolo passerà alla stazione eretta si avrà un cambiamento del suo baricentro; l’appoggio che prima era strutturato su tutti e quattro gli arti ora verrà portato su due.
Questo cambia l’utilizzo delle catene muscolari, delle forze che agiscono sulle varie ossa e danno un primo vero e proprio stimolo di sviluppo dell’arco plantare.
È importante che in questa fase il piedino venga stimolato suoli differenti (duro, morbido, liscio, ruvido) e che venga per questo limitato l’uso delle scarpe.
Quando il bambino avrà acquisito sicurezza e stabilità nel cammino si potranno proporre vari giochi come esercizi per stimolare la volta plantare.
Alcuni esempi di giochi-esercizi
- Mondo: questo gioco permette al bambino di saltare su un piede solo, a piedi uniti, incrociandoli…
- Marciare cantando, marciare suonando, marciare guardando in alto, a destra o a sinistra
- Riprodurre il modo di spostarsi degli animali
- Camminare sulle punte e poi sui talloni
- Prendere una matita, un panno, … con le dita dei piedi
- Ballare, correre, saltare!!!!!
Occorre ricordare che fino a 10-12 anni l’arco plantare del bambino non è completamente formato e quindi, a meno che il pediatra non lo ritenga necessario, non c’è preoccuparsi se non si vede una volta del piede ben definita.
Non vi sono inoltre evidenze su quanto un trattamento chirurgico del piede piatto generi una diminuzione di dolore e piattismo, pertanto, a quanto dice la letteratura scientifica, sono sconsigliabili interventi chirurgici preventivi.
L’attività motoria, il rispetto delle tappe di sviluppo e i diversi stimoli propriocettivi che si possono proporre, aiutano lo sviluppo di un fisiologico appoggio del piede al suolo.